Gita fuori porta

Sono appena le 9 di un lunedì mattina di quarantena, l’ennesimo, quando decidiamo che sebbene la giornata scorrerà esattamente come tutte le altre (cucina-bagno, bagno-divano, divano-cuc… etc etc), è comunque giunta l’ora di alzarsi e tuffarsi in un buon caffè.

Fuori la città ancora se la dorme, avvolta in un silenzio che chissà come sembra più silenzioso del solito. Sarà mica che ce l’abbiam fatta? Mi chiedo. Sarà mica che in fondo siamo migliori di quel che sembra e così abbiamo afferrato il messaggio che anche se oggi è Pasquetta, oh, tocca stare a casa e la scampagnata la faremo tra la camera da letto ed il balcone?

Mentre son già pronta a gridare al miracolo, una voce nella mia testa mi richiama all’ordine. Ohhh! – grida – non sarà troppo presto per cantar vittoria? Così torno con i piedi per terra e butto giù il mio caffè, mentre dalla finestra entra una bell’aria fresca.

In strada non si vede nessuno, a parte una signora che cammina tranquilla tranquilla sul marciapiede sotto casa, mascherina a coprirle mezza faccia e via.

È l’unico essere umano in circolazione, fino a quando dal palazzo in cui abito non esce una signora – leggermente più giovane – con i suoi due mini cani al seguito.

Mentre attraversa il vialetto che separa il portone d’ingresso dal cancello che da sulla strada, i guinzagli le si attorcigliano in ogni dove, ma questo non sembra rappresentare in alcun modo un problema. Nonostante il tira tira, infatti, lei va dritta per la sua strada, fino all’interruttore. Si piega leggermente, uno Zzzzz elettrico risuona nell’aria ed il cancello si apre.
È fatta.

Quando mette piede fuori, però, si accorge dell’altra signora – quella tranquilla e solitaria di poco fa – che un passo alla volta si è spinta fin quasi all’altezza del cancello.

Da daaaaaan. Tempismo perfetto.

È un attimo e senza alcun preavviso da Coverciano mi ritrovo nel Far West, tra sguardi che s’incrociano a distanza e silenzi che minano ad innervosire la rivale. In realtà, la prima signora – quella che camminava in solitaria – non sembra poi tanto nervosa, ma resta comunque immobile, e così entrambe prendono ad osservare le mosse dell’altra, per poi poter calcolare le proprie.

Frazioni di secondo che sembrano interminabili, in cui i cani ne approfittano per agitarsi un po’. Finalmente infatti sono fuori e la natura li chiama, ma la padrona adesso ha tutt’altro per la testa e così li tira a sé, nervosa. Allora l’altra signora dice: “Vada pure, vada” e le fa spazio. Ma la padrona risponde con un: “Vada lei…” e mentre indietreggia leggermente, fa un ceno un po’ stizzito con la mano.

La signora allora china leggermente la testa per ringraziare e procede lungo il marciapiede, stando ben attenta ad allargare un po’ la traiettoria per schivare il terzetto che le sta di fianco. E così, un passo alla volta si allontana, tranquilla e silenziosa, esattamente come poco prima.

Il cancello del cortile si chiude. È un tonfo che scuote il silenzio che regna intorno. Tutto risolto, pare. Ma a quel tonfo seguono a ruota dalle parole, che guarda un po’ son della signora con i cani, la quale d’un tratto si volta verso l’altra ed abbaia qualcosa del tipo: “Dico io, ma le pare il caso di camminare qui?”. Indica il marciapiede, indignata, non sapendo forse che quello non è affatto di sua proprietà e se proprio la si vuol dire tutta, cara la mia signora, se c’era qualcuno che avrebbe dovuto tirarsi indietro quella era lei; e senza far storie, eh, ché la signora se ne stava tranquilla e beata in cammino ben prima di voi. Ma evidentemente fermarsi a riflettere prima di sputar fuori parole a caso non è da tutti e infatti lei continua: “Avrebbe potuto camminare più in là, non le pare?” e indica l’altro marciapiede, forse la strada.

Ma si, chissene! La prossima volta meglio se se ne va in mezzo alla strada, sembra voler dire, e mentre lo dice io son lì che osservo il suo delirio pensando che ahimè, mi sbagliavo. Non siamo affatto migliori di come sembra; per lo meno non tutti. Ma un cosa è certa: la vita è davvero meravigliosa… da quassù.

Per un tozzo di pane

Sono quasi le 13 di un sabato di quarantena, l’ennesimo, quando il silenzio che ormai regna in ogni dove viene rotto da delle grida, che da fuori un po’ alla volta si spingono fin dentro casa.

Saranno i sudamericani, pensiamo. Così ci affacciamo alla finestra. Ma stavolta i vicini non c’entrano. Dal loro balcone, infatti, vien solo della musica e il fatto che sia sparata a tutto volume, be’, a ‘sto giro non è poi così male visto che stanno ascoltando i Guns.

Le grida di poco prima, però, continuano a spingersi fin quassù, più forti e convinte che mai, così guardiamo in strada, dove un uomo si agita furioso. Una busta vuota in una mano e il cellulare nell’altra. “Manco un tozzo di pane”, dice a chissà chi. E poi chiama a rapporto un po’ tutti i santi del paradiso – come se da lassù potessero in qualche modo aiutarlo col suo tozzo di pane… “Mezz’ora in fila – continua indicando la bottega poco più in là – per poi scoprire che hanno finito il pane. Oh, manco un tozzo! Ma guarda se uno per un po’ di pane dev’essere costretto a farsi più di un’ora di coda alla Coop”.

È nervoso, accidenti se lo è. E noi lo guardiamo dall’alto, ma a quanto pare non siamo gli unici, visto che anche i sudamericani si son portati sul terrazzo e guardano giù, mentre Axl Rose continua a cantare Sweet Child O’Mine come se nulla fosse.

È una pioggia di madonne anche se in cielo splende un gran sole e per quanto nella vita sia facile dar la colpa gli altri, la cosa più ovvia da dire, caro mio, è che avoglia a sbraitare, ma in una piccola bottega di quartiere come quella in cui sei entrato, come diavolo pensi di trovare del pane a quell’ora lì il sabato prima della domenica di Pasqua? Suvvia, sveglia!!

Ma il tempo dei flash mob e delle urla dalle finestre è finito, così mi tengo tutto per me. Tanto a dar spettacolo ci pensa lui, che ormai è incontenibile. “Sai icchè ci vole in questa città? – riprende sdegnato – ci vole l’Isis… e poi si fa un bel parcheggio, sai. Manco un tozzo di pane!”.

E noi siamo lì, senza saper se ridere o piangere, certi solo d’una cosa: sarà una Pasqua meravigliosa; e questo è solo l’inizio.

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