Dopo aria, acqua e terra, oggi è stato il turno del fuoco.
In un’isola come questa, dove la natura da sfoggio di sé nei modi più disparati, mi pare giusto dare spazio un po’ a tutti. Allora, invece di spingerci a nord come gli altri giorni, una volta giunti a Yaiza abbiamo svoltato a sinistra per attraversare il Parque Nacional de Timanfaya: una sconfinata distesa di colata lavica sulla quale svettano le Montanas del Fuego, originate da uno dei più grandi cataclismi vulcanici della storia.
Un luogo affascinante e magico, che la magia stamani l’ha fatta sul serio, facendomi tornare bambina in un baleno. È successo nel momento in cui sono scesa dall’auto e mi son trovata davanti a degli enormi ammassi di lava solidificata, tra i quali, incapaci di resistere, io e Francesco ci siamo incamminati per raggiungere poi la Caldera Blanca.
Piccola lo sono stata per un bel po’, anche quando sotto ai piedi avevo la sabbia nerissima di Playa del Janubio e negli occhi il riflesso accecante delle saline.
Perché tornassi grande c’è voluta una cerveza ghiacciata. Ne abbiamo bevuta una a El Golfo, mentre le onde dell’oceano si schiantavano violente sulla scogliera e noi, senza alcun pudore, ripulivamo l’ennesima deliziosa cazuela di pulpo, gamba y champinones a suon di scarpetta.
Forse avremmo potuto trovare un altro modo per salutare Lanzarote, ma a noi è sembrato decisamente il migliore; per dirle ciao e ringraziarla per essere riuscita in così poco tempo a regalarci tutta la sua meraviglia.