La mascherina

È un giovedì pomeriggio di quarantena, l’ennesimo, quando metto finalmente piede fuori casa.
Non capita spesso negli ultimi tempi – una/due volte a settimana – ed il motivo è sempre lo stesso, scritto a chiare lettere sull’autocertificazione: LAVORO.

Nel silenzio delle 13.30 il sole mi sbatte in faccia caldo e per niente intimidito, ben diverso da quando ormai 38 giorni fa tutta ‘sta storia ha avuto inizio.

È un attimo ed il cancello si chiude alle mie spalle, sbam, impaziente di sputarmi fuori, ma io resto immobile dietro la mia mascherina, a chiedermi: dove diavolo l’avrò messa la macchina?

Son passati diversi giorni, infatti, da quando l’ho usata l’ultima volta ed ora sono qui che mi guardo intorno e mi sforzo con tutta me stessa per richiamare all’ordine i ricordi.

Immagini si susseguono nella mia mente l’una dietro l’altra – il bar, la scuola, la Coop…-, quando le voci di due uomini attirano la mia attenzione. Se ne stanno poco più in là, uno sul balcone e l’altro in strada – anche lui mascherato come me -, che ridono e scherzano. Allora, sarà che son le uniche due anime vive nel deserto che è la città in questi giorni – soprattutto all’ora di pranzo – ma mi viene spontaneo spingermi verso di loro.

Sul balcone sventola un bel tricolore e c’è anche una signora in là con l’età che un po’ alla volta ha raggiunto la ringhiera; ora la stringe tra le mani e si abbandona quieta su di essa a faccia all’insù ed occhi chiusi, lasciandosi accarezzare dal sole.

Quando passo di lì sotto, i due uomini si voltano verso di me e mi salutano gentili, così ricambio con piacere: un cenno della testa e una bella strizzata di occhi, ché s’abbia a vedere che sono una buona vicina e dietro alla mascherina gli sto sorridendo.

Questo breve incontro mi da la giusta motivazione per saltare in auto e partire, pronta a fare al meglio il mio dovere. Quando però mi ritrovo sotto a quel balcone – stavolta in auto – mi accorgo che qualcosa è cambiato. Le voci infatti si son fatte grosse e anche piuttosto serie. Allora rallento un po’, abbasso la musica e butto giù il finestrino.

“Ora scendo e tu vedi!”, grida il tipo dalla terrazza. Un po’ stupita mi volto verso l’interlocutore, che però scopro non essere più quello di prima, ma un ragazzo che avrà si e no 25 anni e che, solo in mezzo all’incrocio e sprovvisto di mascherina, gli risponde per niente intimorito: “Oh vieni! – grida – Vieni giù a dillo!”.

La mascherina. Dev’essere quella la questione che il tipo del balcone non riesce proprio a mandar giù e così ribadisce: “Tu fai anche i’grosso?! Ma braaavo… Braaavo…” e mena le mani in aria, come a voler dire che se solo ce l’avesse a portata gliele avrebbe già messe addosso. Be’, per fortuna vige il distanziamento sociale.

Anche se le botte se le danno solo a parole, la gente inizia comunque ad affacciarsi alle finestre. Si affaccia persino Francesco, ché sebbene si trovi a qualche centinaio di metri da lì, quelle grida son così convinte da buttarlo giù dal divano.

Mentre l’attenzione di tutti è ormai rivolta a quei due, la signora di fianco sembra però non essersi accorta di nulla. Se ne sta al sole, faccia all’insù e occhi chiusi, esattamente come poco prima, con la stessa espressione impassibile e beata, come a dire, fate quel che vi pare, prendetevi pure a mazzate, basta che non rompete le scatole a me.

Vederla da quaggiù è uno spettacolo, tanto che sebbene la scena abbia del grottesco non riesco davvero a non ridere, ma appena lo faccio, d’istinto afferro la mascherina che avevo appena posato sul seggiolino di fianco e me la metto di nuovo.

La cosa non ha alcun senso, lo so – sono in auto e pure da sola – ma sebbene quelli che stiamo vivendo siano tempi eccezionali, be’, la regola resta sempre la stessa: meglio ave’ paura che buscanne. Qua sotto, poi…