il Venerdì _ 41

Detto tra noi, questi primi giorni del nuovo anno, a lavoro, son stati d’un tranquillo, ma d’un tranquillo, che più ci penso, più mi dico che un tranquillo così… be’, non poteva non destare qualche sospetto.

Le persone che son passate in studio, infatti, erano tutte sorridenti, fin troppo ragionevoli, oserei dire quasi rilassate e nonostante il freddo di questi giorni, spogliate della fretta che di solito ci portiamo dietro e che costringe a brevi scambi di battute fatti di nuca, ché chissà come, oh, il tempo di guardarsi negli occhi manca sempre un po’ a tutti.

Insomma, ero incredula: una tale quiete, i sorrisi, Luigi che arriva in studio con un bel pandoro per noi, senza condirlo dei se e ma a cui, ahimè, in questi anni ci ha un po’ abituati. Con lui è sempre bastone e carota, eh, fosse mai che tiriamo un sospiro di sollievo. Invece stavolta tutto tranquillo. Fin troppo, appunto, tanto che mi son detta, Che strano, vuoi vedere che il Natale a ‘sto giro è veramente riuscito a darci la pace di cui avevamo bisogno?

Poi, però, a un tratto è squillato il telefono.
“Poliambulatorio buongiorno”.
“Ehm, senta, buongiorno – ha detto una voce di uomo con fare un po’ sbrigativo – avrei bisogno di parlare con il medico di base. È una cosa urgente”.
“Guardi – ho detto io – oggi la dottoressa C. non è in studio, al suo posto c’è la sostituta, che può comunque visitarla. Noi però non possiamo passargliela al telefono, ma può venire in studio e attendere il suo turno”.
“Si ma quindi… come funziona, c’è altra gente prima? Bisogna mettersi in fila?”.
“Be’, si… ci sono i pazienti che hanno appuntamento ed altri che aspettano delle ricette, ma se la sua è una cosa urgente di sicuro l’accoglierà tra un paziente e l’altro”.
“Mmm…”.

“Senta – ha ripreso poi convinto – ma la dottoressa C. quando torna?”
“Lei ci sarà mercoledì, ma nel mezzo ci sono il fine settimana, l’Epifania… Come le ho detto, la sostituta oggi la vede più che volentieri. C’è solo da mettersi in fi…”.
“Ma no, dai – ha fatto d’un tratto – vengo mercoledì”.
“Ma la sua non era un’em…”.
“Alla fine non è così urgente, dai. Si, facciamo mercoledì. Arrivederci”. Tutto da solo, eh, per poi buttar giù.
Ed io son rimasta lì, non so dirvi se più arresa o sollevata, ché per carità, benissimo un mondo migliore, fatto di gente migliore, ma non so mica se l’avrei retto un cambiamento così netto tutto in una volta.

Ci sarà, quindi, ancora un bel po’ da correre, da chiudere le orecchie, far profondi respiri e da sperare che quelli capaci di spazientirti a tal punto da levartele di bocca e di mano, be’, non siano la maggioranza.
Nel frattempo mi son goduta qualche ora d’illusione, credendo che il Natale ci avesse resi più buoni e l’anno nuovo fosse finalmente riuscito a portare un po’ di pace, in Terra, nei cuori e nei cervelli (si, perché credetemi, c’è un gran bisogno anche di questo).

E quindi niente, anche questo anno, sarà per il prossimo.
Buon 2020 a tutti… E che la forza sia con voi!!

il Venerdì _ 40

Al solito, qua dentro, i giorni che precedono il Natale son fatti d’improvvisi mal di denti, salti di nervi e corse contro il tempo.
Già, perché questo è il momento in cui i più realizzano che anche questo anno avrà una fine – ma va? – e guarda un po’, ‘sta fine è ormai alle porte. Così, c’è chi pretende di fare in una manciata di giorni tutto quello che ha rimandato nei precedenti 365.

Da quel che vedo in giro mi par di capire che le cose vanno in questo modo un po’ dappertutto, anche se, va detto, col dentista c’è chi dà il meglio di sé: igiene, otturazioni, magari qualche capsula… insomma, chi più ne ha più ne metta, ché così, dicono, scarico tutte le spese nell’anno.

Un ragionamento che non fa una piega, per carità, se non fosse che gli appuntamenti a disposizione, cari miei, son quelli che sono, avoglia a far pigia pigia in agenda. E allora giù, a far salti mortali, a dar spiegazioni… Solo che alla lunga, tentare di ostacolare ‘sto flusso inarrestabile di richieste last minute non paga mica tanto, sapete, ché arrivi a sera dopo otto ore al computer e ti par d’esser stata una giornata in cantiere e allora non resta che assecondarlo il flusso. In questi giorni, poi, che a tirar su mente e corpo son arrivati in studio pandori, panettoni… noi ne approfittiamo, eh, ché tuffarsi in certi flussi ha il suo bel dispendio di energie.
Così, tra un pezzo di pandoro e uno di panettone, per riprendere fiato, torniamo a tuffarci, splash, assecondando la corrente a cuor leggero, diretti chissà dove, certi solo d’una cosa: la fine dell’anno prima o poi arriverà. E visto il momento, be’, mi sembra giusto dire più prima che poi.

Ma non facciamone una tragedia, eh, ché tanto, un conto alla rovescia, qualche tappo di spumante per aria, e sbam, eccone subito un altro, che stavolta si chiamerà 2020.

2020: un numero che non riesco ancora a capire se mi sta simpatico o no.
Immagino che per scoprirlo dovrò fare come nella canzone: viverlo. Ma se intanto volete un’anticipazione di quel che sarà per voi il nuovo anno, fate come me, ché ieri, a lavoro, in un attimo di pausa e di telefono silente, ho lasciato che la mia attenzione cadesse sulla frase “Le prime tre parole che vedi segneranno il tuo 2020” e senza troppo pensarci mi son tuffata. Si, solo che stavolta mica nell’agenda, bensì in un quadrato di lettere. E così, nell’ordine, son saltate fuori:

Peace
Love
Pizza

…che dire caro il mio 2020?
Alla grande!!

In fuga con me stessa

Se vi dicessi che l’idea di questo libro c’era sin dall’inizio, quando in una grigia mattina d’autunno ho deciso di lanciarmi in questa avventura zaino in spalla, darei l’ottima impressione di chi nella vita ha sempre tutto sotto controllo. Ma le bugie, si sa, hanno le gambe corte, allora vi dirò la verità: questo libro è nato per caso, quasi senza che me n’accorgessi, macinando passi e pensieri in città sconosciute, fino a quando un giorno mi son detta, e se questi mie pensieri diventassero parole?

E così, ho racchiuso le scoperte, gli incontri e le disavventure di quei giorni, in alcuni scritti di viaggio, che adesso, grazie a bookabook potrebbero diventare un libro. Uno di quelli veri, eh, con su lettere impresse nero su bianco e profumano di carta.
Perché questo accada, però, il libro deve essere preordinato. Ci vuole fiducia, quindi, ed una buona dose di curiosità. Il link che segue potrebbe aiutarvi in questo. Aprendolo, infatti, oltre ad una mia presentazione ed un’introduzione al progetto, troverete un’anteprima. Perché non date un occhio?

E se poi la cosa dovesse interessarvi… be’, procedete al più presto con un preordine. Il vostro sarà un prezioso supporto nella corsa alla pubblicazione.

Grazie!!

https://bookabook.it/libri/in-fuga-con-me-stessa/


il Venerdì _ 39

Avrei tante cose da dire sulla settimana che si è appena conclusa, ahhh se ne avrei, ma più penso a quelle cose più mi vien da chiedermi, ma ‘sto lavoro non mi starà portando via già troppo tempo, attenzioni, energie… per star qui a pensarci anche adesso che è venerdì e finalmente sono libera?

La risposta non può che essere una: SI. Un si convinto, eh, che mi porta a pensare che dovrei pormi dei limiti e chissà, forse porne anche agli altri, ché in giro c’è gente che pensa che tu sia lì a disposizione h 24, un po’ come la paziente con cui ho avuto a che fare lunedì.

Ero in studio da si e no cinque minuti, pronta a dare il primo appuntamento di quella lunga giornata.
La vedo, lei mi sorride. Io faccio lo stesso, poi mi tuffo nell’agenda e le chiedo: Martedì 24 dicembre alle ore undici. Può andare?
Lei mi guarda, sembra pensarci un attimo, da sola e in silenzio. Io mi dico, be’, starà valutando, del resto è pur sempre la vigilia di Natale, giorno di ultimi regali, lunghe code in cassa ai supermercati, preparativi last minute… E invece, a un tratto apre bocca e chiede seria: Ma le undici, intendi di mattina o di sera?


Faccio in modo che niente di ciò che mi frulla in testa mi esca di bocca. Tengo a bada tutti i muscoli che ho in faccia, del resto, son di sicuro i più allenati che ho in corpo. E così, quel Ma che diavolo sta dicendo? me lo tengo per me.

Ché poi, lo sanno tutti, Natale è con i tuoi e mai come quest’anno desidero che sia così. Per darsi respiro, prendere un po’ d’aria, meglio ancora se fredda come quella di questi giorni, che tonifica, purifica e chi più ne ha più ne metta.

Per fortuna, però, per quanto le situazioni ti portino a sentirti sballottata, presa a sberle, data per scontata, se guardi bene la vita trova sempre il modo di tenderti una mano, dantoti così un motivo per non cedere allo sconforto.

Questa settimana la mano è stata quella del signor Giuseppe. Ottant’anni e una voglia di chiacchierare che metà basterebbe. Un uomo così caro, così di cuore, che m’ha preso così in simpatia che ogni volta che viene in studio pretende sia io ad occuparmi dei suoi appuntamenti, del suo pagamento…
Perché sei forte, mi dice, e se la ride. Le mani piene di nodi ed un sorriso di chi ha ancora voglia di vivere, anche quando, come l’altro giorno, s’è messo a parlare della moglie che non c’è più e gli occhi gli si son riempiti di lacrime.
Cazzo, un attimo ed è venuto da piangere anche a me. Ma i muscoli che ho in faccia son forti, ve l’ho detto, allora mi son trattenuta, ma avrei tanto voluto abbracciarlo, ché se solo penso ad una simile perdita, io, mi sento crollare il mondo addosso in un attimo.

Mentre lui si asciuga le lacrime, il massimo che riesco a fare è portare una mano sul suo braccio e dire qualcosa che non ricordo, qualcosa di stupido, di sicuro banale, però funziona, perché alla fine torna a sorridere.

Grazie, mi dice, perché di questo tempi il mondo non mi sembra mica andare tanto bene, sai, e trovare qualcuno che ti parla, ti ascolta… forte tu’sei! E giù di nuovo a ridere.
Si fruga in tasca e tira fuori due euro: Con questi prenditi un caffè.
No via Giuseppe, non importa, dico io.

Oh su, insiste, ci fai colazione.
Ma davvero io…
Non fare la bischera!

Allora li prendo, va, non vorrei s’alterasse e poi lo saluto, ché intanto squillano tre telefoni, un campanello, i pazienti si mettono in coda… Ma non lo perdo d’occhio e mentre le vedo andar via, un passo alla volta, un po’ ripiegato su se stesso dagli anni, penso, ma che roba bella è aver gente così in questo mondo, che in un attimo riesce inaspettatamente a chiudere in bellezza una settimana d’interrogativi, dubbi… Facendoti intendere che forse, qualcosa di buono, in questo casino che è la vita, be’, lo stai facendo eccome.

il Venerdì _ 38

Chissà perché, mi chiedo, anno dopo anno, più che a un susseguirsi di giorni, Dicembre somiglia sempre più a un giro di schiaffi. Uno di quelli belli, eh, che ti manda così in confusione da arrivare a chiedersi, ma quella della penitenza, non era Pasqua?

Be’, va detto, io di ‘ste cose me ne intendo davvero poco. Quel che è certo, però, è che non son neanche dieci giorni che siam dentro a ‘sto giro di schiaffi chiamato Dicembre, ma per quel che mi riguarda, oh, ne ho già presi abbastanza da essermi portata avanti anche per i primi mesi dell’anno nuovo.
Del resto, com’è che si dice? Chi ben comincia è a metà dell’opera.

A consolarmi, c’è il fatto che qua dentro non sono l’unica ad assistere alle follie e alle bizzarrie, che in questi giorni affollano lo studio. Con alcuni colleghi (soprattutto colleghe, in realtà) ci diamo delle occhiate, ma delle occhiate… che io, vi confesso, a tratti le trovo davvero fantastiche, quelle occhiate lì: complici, di supporto, capaci di parlare anche senza parlare, tanto che ti viene da dire, ahhh, finalmente un po’ di silenzio!

Già, perché la sensazione che ho ultimamente è quella di aver esaurito lo spazio a disposizione. Sono piena, si, delle parole degli altri, che credetemi han tutti un tale bisogno di dire la loro, di buttar fuori roba, che appena trovano qualcuno disposto ad ascoltarli, ecco fatta la frittata.

Capita, quindi, chi a sessant’anni si avvicina al banco della segreteria e in fare confidenziale ti dice che ha appena iniziato a fumare, perché la vita è una sola, sai, dice, e quindi il prossimo step sarà la cannabis, poi la coca, poi, a settanta, vai con l’eroina. Ah, be’, sempre meglio.

Ma in realtà si può dare di più, credetemi, e infatti qualche giorno dopo è toccato alla mamma venuta ad accompagnare la figlia dal dentista per emergenza. Il dottore preventiva una cura da 90€ (totale 2 appuntamenti di quasi un’ora l’uno) ma lei, manco stessi avanzando la richiesta con passa montagna e pistola alla mano, ti dice che quei soldi lì, dal dentista, non li spende nemmeno per sé che è adulta, figuriamoci per una bambina. Mentre lo dice alza la voce, porta gli occhi al cielo, sdegnata; fa tutto da sola mentre noi dietro al bancone assistiamo alla sceneggiata.
Quando si allontana la Luci si gira, mi guarda, e con un filo di voce mi fa: Ma chissà da che dentista va per non spendere neanche 90€…? Son parole che trasudano un’incredula ironia, basta uno sguardo per capirsi e non possiamo fare a meno di sorridere. Vedi perché è bene essere in due, le dico, per aver testimoni, ché se le racconti, certe cose, la gente mica ci crede che accadono davvero. Ché ok, anch’io preferirei una vita meno cara, ma se ci ripenso, l’altro giorno, per due secondi ed una firma su un foglio, ho dato all’idraulico 60€ cash, bona ci si, e poi c’è chi per due ore dal dentista al costo di 90€ tira fuori ‘sta roba qui. Mah.

Il vincitore della settimana, comunque, è un altro ed è senza dubbio il signore che l’altro giorno ha portato il nipotino per una visita e mentre il piccolo era con il dentista, lui si è avvicinato alla Ele, in zona sterilizzazione, e indicando uno spicillo le ha chiesto: Signorina, non è che potrei avere uno di quelli?
Lei lo ha guardato interrogativa: Quello veramente è uno strumento del dentista… Perché le serve?
Sa – ha detto lui – è che una volta all’anno faccio la pulizia dei denti al mio cane.

E con questa, passo e chiudo.

il Venerdì _ 37

A questo giro il Venerdì sarà breve, ma che dico breve, brevissimo, ché di una settimana che inizia con me che saluto un odontotecnico a suon di Buon fine settimana! ma che volete che vi dica?

Avrei dovuto capire tutto allora, invece, ho sottovalutato la cosa e senza accorgermene mi son ritrovata in un frullatore, uno di quelli che anche se fuori fa ancora caldo e non si sa bene come vestirsi, ti fa capire che il Natale è più vicino di quanto non sembri. La gente infatti è già su di giri, in preda a nevrosi e sia mai che certe cose se le tenga per sé, ché al giorno d’oggi, si sa, non condividere equivale un po’ al non esistere. E così, mentre c’è chi proprio non resiste a dar segni di vita, io non riesco a non pensare a quanto sarà lungo questo mese… interminabile.

Per fortuna, però, resta qualcuno capace di darmi della speranza, ché per esistere, dico io, non bisogna mica per forza far la voce grossa o entrare a gamba tesa nella vita degli altri. La signora Anna me l’ha ricordato ieri, quando ha chiamato lo studio solo per dire che stava bene e che ringraziava tutti per esser stati con lei così gentili, il giorno prima, così carini… Era venuta a togliersi un dente, ma aveva una paura tale che alla nipote aveva detto: in casi estremi niente fiori, eh, ma opere di bene.
E invece, Oh, m’ha detto, la dottoressa è venuta fin sulla porta, m’ha preso a braccetto e via… E mi creda, a 86 anni fa piacere come se a un bimbo di 5 tu gli regali un lecca lecca.

Ecco, penso davvero che di persone come lei, in questo mondo, ce ne vorrebbero molte ma molte di più.

Non so se questo mio desiderio prima o poi si avvererà, se per sentirsi vivi basterà dire qualcosa di gentile all’altro, qualcosa di inaspettato che gli regali un sussulto d’entusiasmo, un sorriso, ma di sicuro son felice d’aver risposto io a quella chiamata. Ché chiamate così, credetemi, son più uniche che rare. Quindi grazie Anna, per quelle parole leggere, riconoscenti, e per avermi ricordato una volta per tutte quanto sia importante circondarsi di persone capaci di scaldarti il cuore.

Gli angoli di Padova

il Venerdì _ 36

Stavolta il venerdì arriva di domenica, non solo perché l’altra sera, dopo undici ore a lavoro mi son schiantata sul divano e addio mondo… no, stavolta se il Venerdì arriva di domenica c’è un motivo che va ben oltre la stanchezza ed è il compleanno di ieri. Mica uno qualsiasi, eh, ché a spegnere le candeline è stato proprio il Poliambulatorio in cui lavoro e di cui ormai vi racconto da mesi.

Ebbene si, ieri abbiamo festeggiato i nostri primi 10 anni. Usare il plurale mi par doveroso, prima di tutto perché là dentro siamo in diversi, e poi, diciamocelo, ‘sti 10 anni me li sento molto miei, visto che in questa squadra ci sono dall’inizio, da quando ero una giovane studentessa e a preoccuparmi erano solo gli esami universitari.

Da allora di cose ne son cambiate un bel po’. A preoccuparmi è arrivato altro: tipo il paziente incontentabile, quello irascibile, la giornata no del collega, la mia… e così, tra una preoccupazione e l’altra, è andata a finire che in questi anni da ragazzina che ero mi son fatta donna.

A volte penso che questo lavoro sia stato una disgrazia, ché se 10 anni fa non avessi avuto quel mal di denti che mi ha condotto qui, be’, forse adesso sarei dall’altra parte del mondo a far qualcosa di straordinario, come l’Eli o altri miei amici. Chissà… quel che è certo è che senza questo posto, senza le persone che lo animano ogni giorno, oggi non sarei quella che sono.
E poi, credetemi, con i tempi che corrono, anche star qua ed affrontare ogni giorno con tenacia e ironia non è affatto poco. L’affetto ed i sorrisi, che abbiam ricevuto ieri ne sono la prova. Oh, ce ne son stati così tanti, alcuni attesi, come quelli di Marigen, Ezio, Sivana, altri inaspettati, come quello di Luigi, che ce l’ha col mondo intero (talvolta anche con noi…), ma ieri c’ha tenuto a festeggiare insieme questo traguardo.

Quindi che dire, ragazzi?

Avanti così!!
Ché sebbene qua dentro di cose da migliorare ce ne siano diverse, i nostri passi mi sembrano percorrere una strada più che buona… lo dicono anche i nostri ‘diplomi’ 😜

dav

il Venerdì _ 35

L’altro giorno, a lavoro, è squillato il telefono.
Driiiiin driiiiiin
E al solito ho afferrato la cornetta al volo – Poliambulatorio buonasera.
Dall’altra parte una voce di donna – Ehm… pronto, buonasera… – il tono di chi ha testa chissà dove – senta, mia figlia l’altro giorno ha messo l’apparecchio. Ora però sente qualcosa di strano. Tipo un gancino che si è staccato… No aspetti, non un gancino, forse un elastico… Saraaaa – grida.
Siiiiii… – si sente in lontananza.
Sono al telefono con il dentista – dice la donna – cos’è che ti è venuto via?! Un elastico?
Da qua non si sente nulla, ma la ragazza deve aver risposto in modo affermativo, perché un attimo dopo la madre torna a rivolgersi a me – Si, un gancino… e allora… ecco, pensavo… non ci sarebbe modo di farla vedere dalla dottoressa?
Senta – le dico osservando l’agenda stracolma di appuntamenti – possiamo vederla ma sul fine serata, tipo alle 19.
Nooooo… – se ne esce la donna.
Mi dispiace – le dico – ma in questo periodo l’agenda della dottoressa è davvero piena e oggi, ahimè, non fa eccezione.
Si ma le 19… no no no… – Ripete sdegnata manco le avessi proposto l’una di notte.

Allora faccio un profondo respiro e guardo l’orologio. Considerato che sono le 14 penso che le 17 potrebbero essere un’ottima via di mezzo, così mi lancio, dando fiducia a chi un tempo sosteneva che in media stat virtus – Che ne dice delle 17?
Ma lei non sembra neanche sentirmi, da quanto è rapida nel rilanciare – Senta ma… – butta lì – venire adesso? No perché così la dottoressa da un occhio a mia figlia, fa quel che c’è da fare e poi torniamo a casa in modo da fare i compiti. Le pare?

Mentre l’ascolto sono così incredula che mi scappa da ridere, ché cara la mia signora, mi creda, se le dicessi quel che mi pare…… ma no, via, meglio se non glielo dico. Però una cosa la penso; la penso eccome, ed è che se va avanti così, se ognuno cioè continua a sentirsi l’ombelico del mondo, io non lo so mica se ce la faccio, eh. Ché con certa gente ci voglion due spalle, ma due spalle… che manco mio fratello che è un armadio le avrà mai due spalle così. Figuriamoci se potrò mai averle io che il massimo dell’attività fisica che faccio ultimamente è salire le scale di corsa al mattino tentando l’impresa di arrivare in orario a lavoro.

Meglio tornare a difendersi, quindi, e a riprender fiato nel modo in cui so farlo meglio: zaino in spalla e cuor leggero, per perdersi chissà dove.

È da un po’ di tempo che non lo faccio. Troppo.

Tanto che mi par davvero giunta l’ora di rimediare e così, mentre penso a quale potrà essere la prossima meta, mi ricordo che in realtà, nei giorni giorni che verranno c’è un altro viaggio che mi aspetta, stavolta da fare in compagnia degli amici e di tutti coloro che vorranno starmi accanto, ripercorrendo i passi che ho fatto l’anno scorso, In fuga con me stessa, e che se le cose dovessero andare per il verso giusto, be’, zitti zitti quei passi potrebbero anche restare impressi nero su bianco insieme ai miei pensieri.

Una roba che detto tra noi, ancora mica ci credo, ma più ci penso più mi viene da dire, però… niente affatto male come boccata d’ossigeno!

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il Venerdì _ 34

Sebbene a tratti queste quattro mura mi stiano un po’ strette, ci sono momenti in cui mi regalano risate a perdifiato, di quelle che di solito si fanno tra amiche in una serata in cui tutto il resto del mondo è lasciato fuori; risate così belle e piene, da arrivare a domandarmi se sia davvero a lavoro o da un’altra parte.

E’ il caso dell’altro giorno, quando mi son ritrovata a condividere la pausa pranzo con Ilaria, Silvia e Roberta, e tra un boccone e l’altro son venuti fuori discorsi piuttosto interessanti, soprattutto per noi donne, che anche se non lo diamo a vedere, oh, chissà come, riusciamo sempre a infilare gli uomini in mezzo ai nostri discorsi. Be’, a meno che tu non sia Silvia, la quale, si sa, a tratti preferisce i Pokemon… ma questa è un’altra storia. L’altro giorno, infatti, a vincere è stato il genere maschile e mentre ce ne stavamo lì, tra un boccone e l’altro, ognuna a dire la sua, ho pensato, ma che bella cosa è questo scambio d’opinioni tra donne così diverse: per idee, età, esperienze. Una cosa semplice ma così bella che mi son detta, però, non è mica da tutti aver delle pause pranzo così!

Ma del resto dovrei esserci abituata. Da queste parti, infatti, le pause pranzo han sempre regalato grandi gioie, sin dai tempi in cui veniva a trovarci l’Antonietta. Settant’anni e non sentirli, la bocca piena di parole affettuose per noi giovani dello studio e due occhi luccicanti di vita. Ancora oggi, quando abbiamo occasione d’incontrarla, a noi ragazze ci chiama tutte chicca e ci tiene che ogni cosa nelle nostre esistenze sia a posto: lavoro, amore, salute… manco fosse Paolo Fox.

Ripenso a quella volta in cui, anni fa, dopo aver ascoltato le pene d’amore di una di noi, se ne venne fuori con questa frase: La vita è come una scaletta d’un pollaio: corta e piena di merda. L’ultima parola le rimase un po’ in gola, ché sebbene sappia il fatto suo, l’Anto è pur sempre una donna a modo. Ma noi, oh, tutti giù a ridere e a pensare che, si, aveva proprio ragione.

Queste son cose che più ci ripenso più mi fan sentire a casa. E a quanto pare, in questo posto, io mi ci sento così tanto “a casa” che a volte mi lascio andare fin troppo. Proprio come l’altro giorno, quando il lasciarsi andare l’ho preso in parola a tal punto da svenire. Con un certo stile, però, eh, ché ormai in questo campo mi son fatta un’esperienza e così, a terra ci son arrivata per gradi. Prima mi son lasciata cadere sulla sedia della Tere, poi gambe sul termosifone e solo qualche minuto dopo mi son seduta in terra. Ma dato che continuavo ad aver la vista offuscata, ho preso il telefono e ho chiamato la sterilizzazione: E’ urgente, mi mandate qua la Clau?

A quanto pare, oh, lei non se l’è fatto ripetere due volte dato che un attimo dopo era da me.

Mentre mi riprendevo, masticando un cremino al cioccolato distesa sul pavimento, lei era lì a tenermi i piedi in alto. Solo chi c’è passato qualche volta, conosce la sensazione di totale inutilità che si prova a perdere i sensi perché ci s’impressiona di qualcosa, eppure, per quanto inutile mi sentissi in quel momento, non riuscivo a smettere di ridere.

Ho riso anche quando Mario m’ha salutato oltre la porta a vetri.

Toc toc. Tutto bene? – ha fatto cenno con la mano.

Io ho scosso la testa e gli ho sorriso.

Si, si… tutto bene – ha detto la Clau.

Allora anche lui ha sorriso ed è andato: Ciao!

Io ho ricambiato il Ciao, per poi dire tra me e me: Che disagio, salutar la gente mentre son distesa a ter…

Ma la Clau, oh, non m’ha neanche fatto finire la frase. Venvia! – ha detto – che sarà mai… di tanto in tanto fa bene cambiare prospettiva nella vita, no?

E allora si che siamo scoppiate a ridere!

Così, dal nulla, mi son tornate in mente le parole dell’Antonietta. Sarà che la vita a volte è esattamente come la scaletta di cui parlava lei, corta e piena di merda. Allora, cari miei, non resta che circondarsi di persone positive, di amici veri, che san farti bene al cuore… e se sei fortunato, be’, son capaci anche di salvarti da uno svenimento.

il Venerdì _ 33

Questo venerdì di metà ottobre ha un profumo insolito, un profumo che a pensarci bene mi ricorda un po’ quello della primavera.

Sarà che negli ultimi giorni, una volta superata la fitta nebbia del mattino, ha preso a splendere un bel sole ed il cielo si è tinto d’un azzurro talmente azzurro che alla fine, ma chissene se siam costretti a continui leva e metti!

Già, perché in queste giornate è tutto un leva la giacca, metti la giacca… leva il golf, metti il golf… una roba che in fondo mi fa sentire attiva, dinamica, quasi come se avessi a che fare col Maestro Miyagi.

Ora che ci penso, fare un bel giro in Giappone non mi dispiacerebbe affatto, ma per il momento tocca star qui, dove a quanto pare, però, l’atmosfera si fa sempre più asiatica.
L’altro giorno, infatti, son venuti due pazienti: marito e moglie un po’ in là con l’età, che frequentano lo studio da anni.
Questa volta era lei a dover far da paziente e così, lui è rimasto fuori ad ammazzare il tempo: camminando su e giù per la sala d’attesa, sfogliando riviste, blaterando qualche parola, fino a quando non si è avvicinato al banco della segreteria ed ha preso un volantino.
L’ha guardato un po’, rimanendo in silenzio, poi ha detto perplesso: Agopuntura…
Ancora uno sguardo al volantino, per poi continuare: Muah… ‘Sti cinesi son da per tutto, ora anche qui!
Silenzio.
Poi però dev’essere andato avanti, perché dopo aver letto il nome della dottoressa ha detto: Ah, ma l’è italiana… E l’ha detto in un misto di stupore e sollievo (quasi avesse scampato l’invasione…), che l’unica cosa che son riuscita a fare è stata correre nello schedario e scoppiare a ridere. Pohero mondo!

Più ci ripenso, oh, più mi convinco che anche quello dev’essere stato un effetto del leva e metti. Un po’ come accade con i colpi di sole, che fan perdere sensi e senno. Del resto aver a che fare con questi sbalzi di temperatura avrà pure qualche effetto collaterale, no?

Ma tutto sommato son cose sopportabili, se ci permettono di godere ancora un po’ di questo sole, che a metà giornata ci stringe in un abbraccio così forte da dar l’idea di non volersene andare più via. E gli abbracci, si sa, da queste parti ci piacciono eccome. Ci piacciono anche quelli che arrivano dalle parole e che si prendono gli altri. Come ieri, quando la signora Ofelia, dopo che la Ele le aveva dedicato tempo e attenzioni, le ha detto a cuore aperto: Sei stata davvero molto carina. Poi l’ha salutata e una volta arrivata sulla porta, è tornata a voltarsi indietro. In gamba, eh! s’è raccomandata e in un sorriso è andata via.

Sebbene mi trovassi a distanza, quell’abbraccio è stato così sincero da riuscire a scaldare anche il mio di cuore, esattamente come aveva fatto il sole poco prima e allora via, mi son detta, avanti, tra strette calorose ed inevitabili leva e metti.