il Venerdì _ 38

Chissà perché, mi chiedo, anno dopo anno, più che a un susseguirsi di giorni, Dicembre somiglia sempre più a un giro di schiaffi. Uno di quelli belli, eh, che ti manda così in confusione da arrivare a chiedersi, ma quella della penitenza, non era Pasqua?

Be’, va detto, io di ‘ste cose me ne intendo davvero poco. Quel che è certo, però, è che non son neanche dieci giorni che siam dentro a ‘sto giro di schiaffi chiamato Dicembre, ma per quel che mi riguarda, oh, ne ho già presi abbastanza da essermi portata avanti anche per i primi mesi dell’anno nuovo.
Del resto, com’è che si dice? Chi ben comincia è a metà dell’opera.

A consolarmi, c’è il fatto che qua dentro non sono l’unica ad assistere alle follie e alle bizzarrie, che in questi giorni affollano lo studio. Con alcuni colleghi (soprattutto colleghe, in realtà) ci diamo delle occhiate, ma delle occhiate… che io, vi confesso, a tratti le trovo davvero fantastiche, quelle occhiate lì: complici, di supporto, capaci di parlare anche senza parlare, tanto che ti viene da dire, ahhh, finalmente un po’ di silenzio!

Già, perché la sensazione che ho ultimamente è quella di aver esaurito lo spazio a disposizione. Sono piena, si, delle parole degli altri, che credetemi han tutti un tale bisogno di dire la loro, di buttar fuori roba, che appena trovano qualcuno disposto ad ascoltarli, ecco fatta la frittata.

Capita, quindi, chi a sessant’anni si avvicina al banco della segreteria e in fare confidenziale ti dice che ha appena iniziato a fumare, perché la vita è una sola, sai, dice, e quindi il prossimo step sarà la cannabis, poi la coca, poi, a settanta, vai con l’eroina. Ah, be’, sempre meglio.

Ma in realtà si può dare di più, credetemi, e infatti qualche giorno dopo è toccato alla mamma venuta ad accompagnare la figlia dal dentista per emergenza. Il dottore preventiva una cura da 90€ (totale 2 appuntamenti di quasi un’ora l’uno) ma lei, manco stessi avanzando la richiesta con passa montagna e pistola alla mano, ti dice che quei soldi lì, dal dentista, non li spende nemmeno per sé che è adulta, figuriamoci per una bambina. Mentre lo dice alza la voce, porta gli occhi al cielo, sdegnata; fa tutto da sola mentre noi dietro al bancone assistiamo alla sceneggiata.
Quando si allontana la Luci si gira, mi guarda, e con un filo di voce mi fa: Ma chissà da che dentista va per non spendere neanche 90€…? Son parole che trasudano un’incredula ironia, basta uno sguardo per capirsi e non possiamo fare a meno di sorridere. Vedi perché è bene essere in due, le dico, per aver testimoni, ché se le racconti, certe cose, la gente mica ci crede che accadono davvero. Ché ok, anch’io preferirei una vita meno cara, ma se ci ripenso, l’altro giorno, per due secondi ed una firma su un foglio, ho dato all’idraulico 60€ cash, bona ci si, e poi c’è chi per due ore dal dentista al costo di 90€ tira fuori ‘sta roba qui. Mah.

Il vincitore della settimana, comunque, è un altro ed è senza dubbio il signore che l’altro giorno ha portato il nipotino per una visita e mentre il piccolo era con il dentista, lui si è avvicinato alla Ele, in zona sterilizzazione, e indicando uno spicillo le ha chiesto: Signorina, non è che potrei avere uno di quelli?
Lei lo ha guardato interrogativa: Quello veramente è uno strumento del dentista… Perché le serve?
Sa – ha detto lui – è che una volta all’anno faccio la pulizia dei denti al mio cane.

E con questa, passo e chiudo.

il Venerdì _ 37

A questo giro il Venerdì sarà breve, ma che dico breve, brevissimo, ché di una settimana che inizia con me che saluto un odontotecnico a suon di Buon fine settimana! ma che volete che vi dica?

Avrei dovuto capire tutto allora, invece, ho sottovalutato la cosa e senza accorgermene mi son ritrovata in un frullatore, uno di quelli che anche se fuori fa ancora caldo e non si sa bene come vestirsi, ti fa capire che il Natale è più vicino di quanto non sembri. La gente infatti è già su di giri, in preda a nevrosi e sia mai che certe cose se le tenga per sé, ché al giorno d’oggi, si sa, non condividere equivale un po’ al non esistere. E così, mentre c’è chi proprio non resiste a dar segni di vita, io non riesco a non pensare a quanto sarà lungo questo mese… interminabile.

Per fortuna, però, resta qualcuno capace di darmi della speranza, ché per esistere, dico io, non bisogna mica per forza far la voce grossa o entrare a gamba tesa nella vita degli altri. La signora Anna me l’ha ricordato ieri, quando ha chiamato lo studio solo per dire che stava bene e che ringraziava tutti per esser stati con lei così gentili, il giorno prima, così carini… Era venuta a togliersi un dente, ma aveva una paura tale che alla nipote aveva detto: in casi estremi niente fiori, eh, ma opere di bene.
E invece, Oh, m’ha detto, la dottoressa è venuta fin sulla porta, m’ha preso a braccetto e via… E mi creda, a 86 anni fa piacere come se a un bimbo di 5 tu gli regali un lecca lecca.

Ecco, penso davvero che di persone come lei, in questo mondo, ce ne vorrebbero molte ma molte di più.

Non so se questo mio desiderio prima o poi si avvererà, se per sentirsi vivi basterà dire qualcosa di gentile all’altro, qualcosa di inaspettato che gli regali un sussulto d’entusiasmo, un sorriso, ma di sicuro son felice d’aver risposto io a quella chiamata. Ché chiamate così, credetemi, son più uniche che rare. Quindi grazie Anna, per quelle parole leggere, riconoscenti, e per avermi ricordato una volta per tutte quanto sia importante circondarsi di persone capaci di scaldarti il cuore.

Gli angoli di Padova

il Venerdì _ 36

Stavolta il venerdì arriva di domenica, non solo perché l’altra sera, dopo undici ore a lavoro mi son schiantata sul divano e addio mondo… no, stavolta se il Venerdì arriva di domenica c’è un motivo che va ben oltre la stanchezza ed è il compleanno di ieri. Mica uno qualsiasi, eh, ché a spegnere le candeline è stato proprio il Poliambulatorio in cui lavoro e di cui ormai vi racconto da mesi.

Ebbene si, ieri abbiamo festeggiato i nostri primi 10 anni. Usare il plurale mi par doveroso, prima di tutto perché là dentro siamo in diversi, e poi, diciamocelo, ‘sti 10 anni me li sento molto miei, visto che in questa squadra ci sono dall’inizio, da quando ero una giovane studentessa e a preoccuparmi erano solo gli esami universitari.

Da allora di cose ne son cambiate un bel po’. A preoccuparmi è arrivato altro: tipo il paziente incontentabile, quello irascibile, la giornata no del collega, la mia… e così, tra una preoccupazione e l’altra, è andata a finire che in questi anni da ragazzina che ero mi son fatta donna.

A volte penso che questo lavoro sia stato una disgrazia, ché se 10 anni fa non avessi avuto quel mal di denti che mi ha condotto qui, be’, forse adesso sarei dall’altra parte del mondo a far qualcosa di straordinario, come l’Eli o altri miei amici. Chissà… quel che è certo è che senza questo posto, senza le persone che lo animano ogni giorno, oggi non sarei quella che sono.
E poi, credetemi, con i tempi che corrono, anche star qua ed affrontare ogni giorno con tenacia e ironia non è affatto poco. L’affetto ed i sorrisi, che abbiam ricevuto ieri ne sono la prova. Oh, ce ne son stati così tanti, alcuni attesi, come quelli di Marigen, Ezio, Sivana, altri inaspettati, come quello di Luigi, che ce l’ha col mondo intero (talvolta anche con noi…), ma ieri c’ha tenuto a festeggiare insieme questo traguardo.

Quindi che dire, ragazzi?

Avanti così!!
Ché sebbene qua dentro di cose da migliorare ce ne siano diverse, i nostri passi mi sembrano percorrere una strada più che buona… lo dicono anche i nostri ‘diplomi’ 😜

dav

il Venerdì _ 35

L’altro giorno, a lavoro, è squillato il telefono.
Driiiiin driiiiiin
E al solito ho afferrato la cornetta al volo – Poliambulatorio buonasera.
Dall’altra parte una voce di donna – Ehm… pronto, buonasera… – il tono di chi ha testa chissà dove – senta, mia figlia l’altro giorno ha messo l’apparecchio. Ora però sente qualcosa di strano. Tipo un gancino che si è staccato… No aspetti, non un gancino, forse un elastico… Saraaaa – grida.
Siiiiii… – si sente in lontananza.
Sono al telefono con il dentista – dice la donna – cos’è che ti è venuto via?! Un elastico?
Da qua non si sente nulla, ma la ragazza deve aver risposto in modo affermativo, perché un attimo dopo la madre torna a rivolgersi a me – Si, un gancino… e allora… ecco, pensavo… non ci sarebbe modo di farla vedere dalla dottoressa?
Senta – le dico osservando l’agenda stracolma di appuntamenti – possiamo vederla ma sul fine serata, tipo alle 19.
Nooooo… – se ne esce la donna.
Mi dispiace – le dico – ma in questo periodo l’agenda della dottoressa è davvero piena e oggi, ahimè, non fa eccezione.
Si ma le 19… no no no… – Ripete sdegnata manco le avessi proposto l’una di notte.

Allora faccio un profondo respiro e guardo l’orologio. Considerato che sono le 14 penso che le 17 potrebbero essere un’ottima via di mezzo, così mi lancio, dando fiducia a chi un tempo sosteneva che in media stat virtus – Che ne dice delle 17?
Ma lei non sembra neanche sentirmi, da quanto è rapida nel rilanciare – Senta ma… – butta lì – venire adesso? No perché così la dottoressa da un occhio a mia figlia, fa quel che c’è da fare e poi torniamo a casa in modo da fare i compiti. Le pare?

Mentre l’ascolto sono così incredula che mi scappa da ridere, ché cara la mia signora, mi creda, se le dicessi quel che mi pare…… ma no, via, meglio se non glielo dico. Però una cosa la penso; la penso eccome, ed è che se va avanti così, se ognuno cioè continua a sentirsi l’ombelico del mondo, io non lo so mica se ce la faccio, eh. Ché con certa gente ci voglion due spalle, ma due spalle… che manco mio fratello che è un armadio le avrà mai due spalle così. Figuriamoci se potrò mai averle io che il massimo dell’attività fisica che faccio ultimamente è salire le scale di corsa al mattino tentando l’impresa di arrivare in orario a lavoro.

Meglio tornare a difendersi, quindi, e a riprender fiato nel modo in cui so farlo meglio: zaino in spalla e cuor leggero, per perdersi chissà dove.

È da un po’ di tempo che non lo faccio. Troppo.

Tanto che mi par davvero giunta l’ora di rimediare e così, mentre penso a quale potrà essere la prossima meta, mi ricordo che in realtà, nei giorni giorni che verranno c’è un altro viaggio che mi aspetta, stavolta da fare in compagnia degli amici e di tutti coloro che vorranno starmi accanto, ripercorrendo i passi che ho fatto l’anno scorso, In fuga con me stessa, e che se le cose dovessero andare per il verso giusto, be’, zitti zitti quei passi potrebbero anche restare impressi nero su bianco insieme ai miei pensieri.

Una roba che detto tra noi, ancora mica ci credo, ma più ci penso più mi viene da dire, però… niente affatto male come boccata d’ossigeno!

https://bookabook.it/libri/in-fuga-con-me-stessa/

il Venerdì _ 34

Sebbene a tratti queste quattro mura mi stiano un po’ strette, ci sono momenti in cui mi regalano risate a perdifiato, di quelle che di solito si fanno tra amiche in una serata in cui tutto il resto del mondo è lasciato fuori; risate così belle e piene, da arrivare a domandarmi se sia davvero a lavoro o da un’altra parte.

E’ il caso dell’altro giorno, quando mi son ritrovata a condividere la pausa pranzo con Ilaria, Silvia e Roberta, e tra un boccone e l’altro son venuti fuori discorsi piuttosto interessanti, soprattutto per noi donne, che anche se non lo diamo a vedere, oh, chissà come, riusciamo sempre a infilare gli uomini in mezzo ai nostri discorsi. Be’, a meno che tu non sia Silvia, la quale, si sa, a tratti preferisce i Pokemon… ma questa è un’altra storia. L’altro giorno, infatti, a vincere è stato il genere maschile e mentre ce ne stavamo lì, tra un boccone e l’altro, ognuna a dire la sua, ho pensato, ma che bella cosa è questo scambio d’opinioni tra donne così diverse: per idee, età, esperienze. Una cosa semplice ma così bella che mi son detta, però, non è mica da tutti aver delle pause pranzo così!

Ma del resto dovrei esserci abituata. Da queste parti, infatti, le pause pranzo han sempre regalato grandi gioie, sin dai tempi in cui veniva a trovarci l’Antonietta. Settant’anni e non sentirli, la bocca piena di parole affettuose per noi giovani dello studio e due occhi luccicanti di vita. Ancora oggi, quando abbiamo occasione d’incontrarla, a noi ragazze ci chiama tutte chicca e ci tiene che ogni cosa nelle nostre esistenze sia a posto: lavoro, amore, salute… manco fosse Paolo Fox.

Ripenso a quella volta in cui, anni fa, dopo aver ascoltato le pene d’amore di una di noi, se ne venne fuori con questa frase: La vita è come una scaletta d’un pollaio: corta e piena di merda. L’ultima parola le rimase un po’ in gola, ché sebbene sappia il fatto suo, l’Anto è pur sempre una donna a modo. Ma noi, oh, tutti giù a ridere e a pensare che, si, aveva proprio ragione.

Queste son cose che più ci ripenso più mi fan sentire a casa. E a quanto pare, in questo posto, io mi ci sento così tanto “a casa” che a volte mi lascio andare fin troppo. Proprio come l’altro giorno, quando il lasciarsi andare l’ho preso in parola a tal punto da svenire. Con un certo stile, però, eh, ché ormai in questo campo mi son fatta un’esperienza e così, a terra ci son arrivata per gradi. Prima mi son lasciata cadere sulla sedia della Tere, poi gambe sul termosifone e solo qualche minuto dopo mi son seduta in terra. Ma dato che continuavo ad aver la vista offuscata, ho preso il telefono e ho chiamato la sterilizzazione: E’ urgente, mi mandate qua la Clau?

A quanto pare, oh, lei non se l’è fatto ripetere due volte dato che un attimo dopo era da me.

Mentre mi riprendevo, masticando un cremino al cioccolato distesa sul pavimento, lei era lì a tenermi i piedi in alto. Solo chi c’è passato qualche volta, conosce la sensazione di totale inutilità che si prova a perdere i sensi perché ci s’impressiona di qualcosa, eppure, per quanto inutile mi sentissi in quel momento, non riuscivo a smettere di ridere.

Ho riso anche quando Mario m’ha salutato oltre la porta a vetri.

Toc toc. Tutto bene? – ha fatto cenno con la mano.

Io ho scosso la testa e gli ho sorriso.

Si, si… tutto bene – ha detto la Clau.

Allora anche lui ha sorriso ed è andato: Ciao!

Io ho ricambiato il Ciao, per poi dire tra me e me: Che disagio, salutar la gente mentre son distesa a ter…

Ma la Clau, oh, non m’ha neanche fatto finire la frase. Venvia! – ha detto – che sarà mai… di tanto in tanto fa bene cambiare prospettiva nella vita, no?

E allora si che siamo scoppiate a ridere!

Così, dal nulla, mi son tornate in mente le parole dell’Antonietta. Sarà che la vita a volte è esattamente come la scaletta di cui parlava lei, corta e piena di merda. Allora, cari miei, non resta che circondarsi di persone positive, di amici veri, che san farti bene al cuore… e se sei fortunato, be’, son capaci anche di salvarti da uno svenimento.

il Venerdì _ 33

Questo venerdì di metà ottobre ha un profumo insolito, un profumo che a pensarci bene mi ricorda un po’ quello della primavera.

Sarà che negli ultimi giorni, una volta superata la fitta nebbia del mattino, ha preso a splendere un bel sole ed il cielo si è tinto d’un azzurro talmente azzurro che alla fine, ma chissene se siam costretti a continui leva e metti!

Già, perché in queste giornate è tutto un leva la giacca, metti la giacca… leva il golf, metti il golf… una roba che in fondo mi fa sentire attiva, dinamica, quasi come se avessi a che fare col Maestro Miyagi.

Ora che ci penso, fare un bel giro in Giappone non mi dispiacerebbe affatto, ma per il momento tocca star qui, dove a quanto pare, però, l’atmosfera si fa sempre più asiatica.
L’altro giorno, infatti, son venuti due pazienti: marito e moglie un po’ in là con l’età, che frequentano lo studio da anni.
Questa volta era lei a dover far da paziente e così, lui è rimasto fuori ad ammazzare il tempo: camminando su e giù per la sala d’attesa, sfogliando riviste, blaterando qualche parola, fino a quando non si è avvicinato al banco della segreteria ed ha preso un volantino.
L’ha guardato un po’, rimanendo in silenzio, poi ha detto perplesso: Agopuntura…
Ancora uno sguardo al volantino, per poi continuare: Muah… ‘Sti cinesi son da per tutto, ora anche qui!
Silenzio.
Poi però dev’essere andato avanti, perché dopo aver letto il nome della dottoressa ha detto: Ah, ma l’è italiana… E l’ha detto in un misto di stupore e sollievo (quasi avesse scampato l’invasione…), che l’unica cosa che son riuscita a fare è stata correre nello schedario e scoppiare a ridere. Pohero mondo!

Più ci ripenso, oh, più mi convinco che anche quello dev’essere stato un effetto del leva e metti. Un po’ come accade con i colpi di sole, che fan perdere sensi e senno. Del resto aver a che fare con questi sbalzi di temperatura avrà pure qualche effetto collaterale, no?

Ma tutto sommato son cose sopportabili, se ci permettono di godere ancora un po’ di questo sole, che a metà giornata ci stringe in un abbraccio così forte da dar l’idea di non volersene andare più via. E gli abbracci, si sa, da queste parti ci piacciono eccome. Ci piacciono anche quelli che arrivano dalle parole e che si prendono gli altri. Come ieri, quando la signora Ofelia, dopo che la Ele le aveva dedicato tempo e attenzioni, le ha detto a cuore aperto: Sei stata davvero molto carina. Poi l’ha salutata e una volta arrivata sulla porta, è tornata a voltarsi indietro. In gamba, eh! s’è raccomandata e in un sorriso è andata via.

Sebbene mi trovassi a distanza, quell’abbraccio è stato così sincero da riuscire a scaldare anche il mio di cuore, esattamente come aveva fatto il sole poco prima e allora via, mi son detta, avanti, tra strette calorose ed inevitabili leva e metti.

il Venerdì _ 32

Da un po’ di tempo a questa parte la mia vita ha ripreso a girare ad una tale velocità da non aver più molte energie per scrivere. E a dire il vero, a mancare, oltre alle energie a fine giornata, sono anche quei guizzi improvvisi, le toccate al cuore e gli scossoni, che mi facevan sobbalzare e dire, be’, questa è proprio una cosa da venerdì!
Non che a lavoro le cose siano cambiate, eh, ma forse mi vien da pensare che un po’ sia cambiata io e che forse non sia poi così male, cambiare, se questo vuol dire essere tornata a volgere lo sguardo e il cuore anche ai guizzi e agli scossoni che ci son fuori di qui.

Alcune cose, però, in questo posto continuano a farmi sentire tremendamente a casa, tanto da darmi più d’una motivazione per continuare a scriverne (seppur in maniera discontinua): sono le risate tra colleghe, le speranze condivise, le incazzature (condivise pure queste) ed i pazienti (non tutti, eh…) che ti ringraziano perché anche se sei alle prese con tre telefoni, il campanello, i colleghi che ti parlano sopra etc etc… be’, tu riesci comunque a salutarli e a chiedere, Come va?

E poi ci son le cose bizzarre, che immagino capitino un po’ ovunque, ma che chissà perché, qua dentro, oh, sembrano starci proprio a pennello.

Come l’altro giorno, quando fuori il cielo iniziava a colorarsi di nero e in studio regnava un silenzio irreale.
D’un tratto il telefono ha preso a squillare frenetico.

Driiiiiin driiiiiin
– Poliambulatorio, buona sera.
– Ehm… buonasera – ha detto una voce di donna – senta…
– Si…?
– Avete mica un tavolino per cinque stasera?

Guardi – ho pensato – di tavolini da queste parti non ce ne sono, ma se le van bene delle poltrone, be’, qua ne trova quante ne vuole. E chissene se son da dentista, comodi si sta comodi, ci si può stare anche distesi.
Solo che questo, a lei, mica gliel’ho detto. Ho trattenuto una risata e ho fatto: – Mi sa che ha sbagliato numero, questo è un poliambulatorio.


– Ah… mi scusi.
Poi, sbam!
Tu tu tu…

Ed io son rimasta lì, avvinghiata a quel tu, tu, tu… a pensare, be’, dopo questa si può anche andare a casa, eh!

il Venerdì _ 31

Questa settimana è scivolata via quasi senza che me ne accorgessi.
Dico io, era l’ora che la vita si decidesse finalmente a render pan per focaccia!

In questi giorni, qua dentro, l’ha fatto un po’ con tutti, anche con me, e così, io non mi son certo tirata indietro, ché quando si parla di carboidrati son di cedimento facile.
Allora ho lasciato far tutto a loro, al pane, alla focaccia e alla vita, impegnati a ripagare gli sforzi fatti nella prima parte di questo anno, che tra corse e nevrotici squilli di telefono, m’è sembrata interminabile a tal punto da esserne uscita a pezzi. O per lo meno questo era ciò che pensavo. Poi l’altro giorno la signora Anna si è fermata in segreteria. Oh, ha detto, invece d’invecchiare, la ringiovanisce…
Io pensavo si riferisse a Sandra, attivissima e in forma più che mai, invece no, Macché Sandra, m’ha detto, e’ dico a te!
Io le ho quasi riso in faccia, ché chissà come, ‘ste cose me le dicon sempre di prima mattina, quando mi sento come se mi fosse passato addosso un tir ed i capelli vanno un po’ dove gli pare, tanto che l’unico modo per contenere lo scompiglio (fisico e mentale) è nascondere tutto in uno chignon.

Cosa? Avrei voluto dirle. Ma non l’ho fatto, ché anche se la signora Anna non sarebbe mai il tipo, sotto sotto temevo una supercazzola. Allora ho detto grazie, mentre intanto pensavo, ah però, pane e focaccia han proprio un effetto miracoloso!

Una spintina però, va detto, gliel’abbiam data anche noi. Ché se i ritmi si son fatti più sostenibili lo si deve soprattutto alla nuova organizzazione, studiata e ristudiata per mesi. Adesso non ci resta che sperare nei suoi buoni frutti. Del resto, le cose, per farle bene non si possono mica improvvisare; van costruite nel tempo, con pazienza e dedizione.
Insomma, come m’ha detto l’altro giorno una paziente, mica si può dar da mangiare alla gallina il giorno del mercato. Per venir su belle paciocche, infatti, le galline van curate passo passo.

Così d’un tratto ho pensato a me, a tutte le persone e a quelle piccole cose che in questi mesi ho trascurato per star dietro al lavoro, allo studio… Ho pensato alla scrittura, messa da parte pure quella, e ai miei passi, che per quanti ne abbia fatti qua dentro in questi mesi, vuoi mettere con quelli liberi e curiosi di qualche mese fa, che si perdevano chissà dove, zaino in spalla.
Allora ho deciso: bisogna che torni ad alimentare questa gallina, ché in fondo nella vita ognuno ne ha una ed io, be’, più ci penso più mi convinco che la mia sia proprio questa.

il Venerdì _ 30

Che lo si voglia o no, il momento di salutare l’estate è vicino.
Le giornate si son già fatte corte, i parcheggi son tornati a riempirsi di auto e i temporali degli ultimi giorni sono un po’ come i fischi dell’arbitro in mezzo a una partita di calcio, che finché son due, tira via, ma quando poi diventano tre… pi piii piiiiiiiiiii
Fine dei giochi.

La pacchia insomma è finita un po’ per tutti, anche per me, che amo l’estate non tanto per le interminabili giornate di solleone, quanto piuttosto perché qua dentro, in estate, si sta davvero da Dio: aria condizionata, telefono che squilla a rilento e finalmente tempo a disposizione per occuparmi di lavori lasciati lì per giorni, settimane, mesi… in attesa che arrivi l’estate, appunto.

E così, mentre la maggior parte della gente se ne sta spaparanzata sotto l’ombrellone o sui monti a respirare aria bona e a tirar su i glutei, a Risana regna una pace irreale, tanto che ogni volta mi domando, ma di estati, in un anno, non potrebbero essercene di più?

L’anno prossimo, son sicura, me lo chiederò ancora, e proprio come adesso, i primi di settembre mi volterò indietro, nostalgica, consapevole che per mesi questa pace non sarà altro che un ricordo, impegnata a correre da un telefono all’altro, da uno studio all’altro, dietro a bambini frenetici o genitori esauriti. Un tunnel in fondo al quale, per quanto m’impegni, oh, mica son certa di riuscire a vedere la luce.

Paolo dice che la vita è già bella complicata di suo per farsi sopraffare da simili pensieri. Scialla, direbbero i giovani d’oggi. Ma lui, da vero signore, m’ha detto: È un po’ come andare a mettere il sedere tra i calci. Anche a non volere, va a finire che uno lo prendi per forza.

E in fondo, be’, non ha mica tutti i torti. Meglio quindi pensare a cose belle, leggere, come il sorriso sincero della signora Anna Maria, che lunedì, quando m’ha vista, s’è illuminata.

I nostri incontri son sempre uguali.
Lei mi sorride, io le sorrido. Mi fa un paio di complimenti e poi mi chiede se sono sposata.
No, rispondo.
Ah, vabbe’, dice, ma tanto lei è ancora gggiovane. Ci mette un due-tre G, ché il suo accento è un po’ romanesco.
Quando le dico quanti anni ho, trentatre, lo vedo, ci rimane un po’ male.
Ah… dice. Le sembro più piccola, ma le vado bene lo stesso, anche se ai suoi tempi, alla mia età, altro che sposate si doveva essere. Ma lei in realtà non è dispiaciuta, è solo in pensiero, fosse mai che me ne sto da sola in balia di questo mondo, allora mi fa: Ma ce l’ha il fidanzato?

‘Ce l’ha’. Potrei amarla anche solo per questo suo darmi del lei, ma la amo di più quando le rispondo di si e lei si scioglie in un sorriso che è tutto un programma.

E com’è, bello?
Il figlio o la nuora, che di solito l’accompagnano, arrivati a questo punto in genere cercano di fermarla, ma io le rispondo con piacere: È bello si, le dico, è proprio bello.
E lei, allora, se la ride che sembra una bambina.

Ogni volta che la vedo, parlare con lei mi fa un tale piacere, che mi vien da pensare che dovremmo essere tutti un po’ più così: teneri, spensierati e pronti a dirsi cose belle. Ché non so dire con certezza se sorridere allunghi la vita o meno, ma in questi anni una cosa l’ho imparata ed è che farlo, la fa di sicuro scivolare meglio.

Tender _ Blur

il Venerdì _ 29

Io non so come, ma in questo periodo di città svuotate e sole cocente, mi sento come schiacciata da tutto ciò che mi gira intorno. Eppure, ora che son tutti in ferie, di spazio per noi che restiamo ce ne dovrebbe essere di più, no?

Invece, chissà perché, ovunque vadano a cadere i miei occhi, oh, vedon qualcosa che non va. Un po’ come al tg, dove non si parla d’altro che di tragedie, disastri ambientali, giovani violenti, adulti che perdono il capo, politici che dimostrano di non averlo mai avuto… insomma, ‘na robaaa ma una robaaa, che l’altro giorno mi son detta, forse è davvero giunto il momento di non vederla più quella roba lì.

E così, lunedì sono arrivata a lavoro con l’intenzione di abbandonare per un po’ tv, social, cellulare, per darmi in pasto alla vita vera, quella fatta di persone, relazioni, e a volte anche di chiacchiere da bar buttate lì un po’ a caso. Ché parlare del traffico o del gran caldo non sarà certo il massimo, ma per lo meno non mi toglie energie e fiducia, come il sentire ciò che ultimamente accade in questo mondo.

I miei buoni propositi, credetemi, erano saldi. E lo son stati per un bel po’, eh, un cinque-sei ore buone, fino a quando quella bimba di otto anni non ha messo piede in studio. Un gran mal di denti e la faccia imbronciata. Con lei, la mamma.
Scoperta la causa del dolore, l’abbiam curata. Otturazione e via, risolto.
Quando arrivano al banco della segreteria son sollevate, la mamma più della piccola. E ci credo, dopo ore di lamenti, tua figlia è finalmente tornata a star bene.

_ Grazie, dice la donna.

_ Di niente, la segue la Clau. Poi dice due cose alla bimba.

_ Quanto è? Chiede la mamma sulla cinquantina, abbronzatissima e splendida splendente.

_ Sono 100€, fa la Clau. Ma non fa in tempo a finire che la donna se ne esce con un sonoro, Sticazzi!

Io, che ero alle prese con delle scartoffie ad una scrivania poco distante, alzo la testa. La bimba pare un’anima in pena. E ci credo, con una mamma così lo sarei anch’io.
La Clau resta zitta ed è un vero miracolo, ché se un minimo la conosco, son certa che dentro ne avrà pensate a centinaia. Ma resta zitta. Ignora. Proprio come si fa con le richieste di amicizia che non solo non ci interessano, ma ancor peggio ci disturbano. Ignora, appunto. La fa pagare e via.

Una volta fuori, ci guardiamo e senza dircelo, pensiamo alla stessa cosa: quella povera bimba, ché ultimamente ce la prendiamo tanto con questi giovani, senza riferimenti, valori… e sticazzi, se gli adulti che hanno accanto sono questi, mi pare il minimo.

E allora sapete una cosa?
Mi sa che la pausa me la prendo da tutto, anche dalla vita vera, ché di persone qua ne passano anche di molto belle, eh, ma guarda caso quest’anno allo studio hanno deciso di chiudere per una settimana ed io, be’, ne approfitto volentieri. Un po’ di meritate ferie, come mi ha detto ieri Ezio.

E così, stacco la spina. Ci risentiamo tra qualche giorno… forse.