In viaggio alla scoperta del Marocco
Da queste parti non fai in tempo ad abituarti che già te ne devi andare e così, esattamente come siamo arrivati, si riparte: in piena notte, mentre in strada si aggirano cani sciolti e facce che son tutto un programma. Ma a differenza dell’inizio, i nostri passi adesso son più sicuri. Non potrebbe essere altrimenti dietro a quelli dell’uomo della notte. È stata la sua, la prima mano che abbiamo stretto a Marrakech ed è bello che sia anche l’ultima che stringiamo prima di lasciare la città.
Una manciata di ore dopo, infatti, siamo a Fes, dove ad accoglierci è uno spicchio di luna arancione. È una visione preziosa che dura appena un attimo. Il sole infatti è già lì che incalza, impaziente di prendere il suo posto ed iniziare a splendere. Mica come noi, che con appena tre ore di sonno, siam tutto tranne che splendenti.
Questo però non ci impedisce di darci sibito in pasto alla Medina di Fes el Bali, che con le sue 9600 strade è la più grande e antica del Marocco. Son strade, queste, che chissà quante ne han viste in centinaia e centinaia di anni. E oggi, be’, gli è toccato vedere pure noi, scorrazzare in qua e là al seguito di Mohammed Cous Cous.
Uno con un nome simile, non poteva che essere dei nostri. E menomale, mi viene da dire, perché Mohammed è un tipo in gamba, che ci racconta un sacco di cose interessanti.
Ci dice, ad esempio, che la città vecchia è composta da ben 186 quartieri, ognuno dei quali ha una moschea, un bagno turco, un forno, una fontana e una scuola coranica. Ne vediamo alcuni con i nostri occhi, constatando che è ancora intorno a questi cinque punti che si svolge la vita delle persone dentro le mura. Insieme ai mercati, ovvio, che qua son davvero dappertutto.
Gli occhi faticano a trovar pace, mentre rimbalzano tra mura scorticate, il cielo azzurro e gli splendidi palazzi. I dettagli di quest’ultimi son frutto del lavoro degli stessi abitanti di Fes. È tutto fatto a mano, eh, ci assicura Mohammed, perché la gente qua non sa mica lavorare a macchina. Infatti, questa è una città di artigiani, dove i padri trasmettono il mestiere ai figli: sia che si tratti di intagliare il cedro, impastare il gesso, tingere i tessuti o perché no, tesserli. Anche per i conciatori di pelli funziona così. Vederli all’opera trasmette tutta la loro fatica, che è così tanta da riuscire fiaccare le gambe anche a noi. Allora buttiamo giù un pasticcino, e tra miele, mandorle e chi più ne ha più ne metta, sbam, e un attimo e ci riprendiamo.
Ad alleviare i miei pensieri per le fatiche dei conciatori, però, vi è il fatto che per fortuna oggi è venerdì e nella Medina non si lavora, per lo meno non tutta la giornata. Sono le una, infatti, quando il canto del Muezzin richiama alla preghiera l’intera città e tutti, persino loro, ben presto si recheranno alla grande moschea.
Noi facciamo lo stesso, confondendoci tra grida, sorrisi e saluti di uomini, donne, ragazzi, bambini… Oggi non manca davvero nessuno. Ve l’ho detto, ci siam persino noi, che seppur in un modo tutto nostro, ci sentiamo parteci a questo loro giorni di festa.
Esserci è affascinante. Un impagabile regalo, che dopo il caos di Marrakech ci riporta a ciò che più sentiamo appartenerci: una dimensione umana. Oserei dire più raccolta, anche se, col milione di abitanti che Fes si ritrova, non so se ‘raccolta’ sia la parola giusta.
Quel che è certo è che questo era ciò di cui avevamo più bisogno. Un luogo dove sfiorarsi, ascoltare, tornare a guardar le cose con meraviglia e ad un tratto, finalmente, fare silenzio e sentirsi vicini.