Che lo si voglia o no, il momento di salutare l’estate è vicino.
Le giornate si son già fatte corte, i parcheggi son tornati a riempirsi di auto e i temporali degli ultimi giorni sono un po’ come i fischi dell’arbitro in mezzo a una partita di calcio, che finché son due, tira via, ma quando poi diventano tre… pi piii piiiiiiiiiii
Fine dei giochi.
La pacchia insomma è finita un po’ per tutti, anche per me, che amo l’estate non tanto per le interminabili giornate di solleone, quanto piuttosto perché qua dentro, in estate, si sta davvero da Dio: aria condizionata, telefono che squilla a rilento e finalmente tempo a disposizione per occuparmi di lavori lasciati lì per giorni, settimane, mesi… in attesa che arrivi l’estate, appunto.
E così, mentre la maggior parte della gente se ne sta spaparanzata sotto l’ombrellone o sui monti a respirare aria bona e a tirar su i glutei, a Risana regna una pace irreale, tanto che ogni volta mi domando, ma di estati, in un anno, non potrebbero essercene di più?
L’anno prossimo, son sicura, me lo chiederò ancora, e proprio come adesso, i primi di settembre mi volterò indietro, nostalgica, consapevole che per mesi questa pace non sarà altro che un ricordo, impegnata a correre da un telefono all’altro, da uno studio all’altro, dietro a bambini frenetici o genitori esauriti. Un tunnel in fondo al quale, per quanto m’impegni, oh, mica son certa di riuscire a vedere la luce.
Paolo dice che la vita è già bella complicata di suo per farsi sopraffare da simili pensieri. Scialla, direbbero i giovani d’oggi. Ma lui, da vero signore, m’ha detto: È un po’ come andare a mettere il sedere tra i calci. Anche a non volere, va a finire che uno lo prendi per forza.
E in fondo, be’, non ha mica tutti i torti. Meglio quindi pensare a cose belle, leggere, come il sorriso sincero della signora Anna Maria, che lunedì, quando m’ha vista, s’è illuminata.
I nostri incontri son sempre uguali.
Lei mi sorride, io le sorrido. Mi fa un paio di complimenti e poi mi chiede se sono sposata.
No, rispondo.
Ah, vabbe’, dice, ma tanto lei è ancora gggiovane. Ci mette un due-tre G, ché il suo accento è un po’ romanesco.
Quando le dico quanti anni ho, trentatre, lo vedo, ci rimane un po’ male.
Ah… dice. Le sembro più piccola, ma le vado bene lo stesso, anche se ai suoi tempi, alla mia età, altro che sposate si doveva essere. Ma lei in realtà non è dispiaciuta, è solo in pensiero, fosse mai che me ne sto da sola in balia di questo mondo, allora mi fa: Ma ce l’ha il fidanzato?
‘Ce l’ha’. Potrei amarla anche solo per questo suo darmi del lei, ma la amo di più quando le rispondo di si e lei si scioglie in un sorriso che è tutto un programma.
E com’è, bello?
Il figlio o la nuora, che di solito l’accompagnano, arrivati a questo punto in genere cercano di fermarla, ma io le rispondo con piacere: È bello si, le dico, è proprio bello.
E lei, allora, se la ride che sembra una bambina.
Ogni volta che la vedo, parlare con lei mi fa un tale piacere, che mi vien da pensare che dovremmo essere tutti un po’ più così: teneri, spensierati e pronti a dirsi cose belle. Ché non so dire con certezza se sorridere allunghi la vita o meno, ma in questi anni una cosa l’ho imparata ed è che farlo, la fa di sicuro scivolare meglio.