Da queste parti non c’è mai il verso di starsene un po’ da sola. Vuoi o non vuoi, infatti, al Poliambulatorio qualcuno con cui parlare lo trovi sempre: di persona, per telefono, persino tramite messaggio, ché da un po’ di tempo ci siam fatti tecnologici e sul nostro cellulare è arrivato pure WhatsApp!
Be’, che dire? Al di là del caos che mi frulla in testa e del bisogno di silenzio che ultimamente accompagna le mie serate, c’è di positivo che ogni giorno intesso un sacco di relazioni. Non solo con chi come me se ne sta qua dentro a giornate intere per lavoro, ma anche con gli altri.
Già, perché può sembrar strano ma a questo mondo esistono anche gli altri, quelli che le giornate le passano per lo più fuori, ma che da qui, di tanto in tanto son costretti a passarci: per un’emergenza, un’igiene o perché no, un controllo. E così, a forza di vederli e sentirli, va a finire che anche loro diventano parte di noi; persone che si affezionano alle nostre storie o che ci raccontano le loro.
Penso a Rossella e alle sue camminate, ai ritratti color pastello di Gianni e a Giancarlo, che ogni volta che lo vedo, penso, ma quando arriverà la prossima spiaggia lontana ed assolata su cui fantasticare insieme?
Mentre aspetto che ciò avvenga, penso che averle incontrate, queste persone, è stata proprio una fortuna, ché di questi tempi, di cielo grigio e tempo incerto, una scaldata al cuore è proprio quello che ci vuole. E anche se vien fuori dalla cornetta di un telefono, un sorriso sincero a tratti sa esser più di una carezza. Proprio come quella che ho ricevuto l’altro giorno dal signor Fabio, che prima di metter giù, m’ha detto: Via nini, e’ ci si vede domani. Ed io, più ripenso a quel nini più mi sento stretta in un abbraccio. Ché manco me la ricordavo l’ultima volta che qualcuno m’aveva chiamata così, nini.
Penso a tutto questo, alle carezze, ai sorrisi e alle idee scaturite da cose piccole, semplici, ma pur sempre capaci di dar colore a giornate, che se solo non avessi questi occhi qui, non farebbero altro che susseguirsi l’una identica all’altra.
Allora, d’un tratto, mi vengono in mente quelli che vedono tutto grigio e per qualche assurdo motivo, oh, voglion far vedere grigio anche me. Solo che a me, ‘sta storia, non piace mica poi tanto, ché se c’è una cosa che non sopporto è chi ruba: energie, idee propositive, colori. Dico io, con tutta la fatica che si fa per tenerseli stretti, i colori, ci manca solo che qualcuno venga a sottrarceli.
I giorni, certo, non son tutti uguali e anche a me di tanto in tanto capita d’esser sotto tono, di buttar fuori pensieri, pesantezze, d’usare senza volere chi mi sta intorno come un pungiball. Dopo tutto siamo umani, mi dico, ma ora che son qui a scrivere, penso, va bene l’essere umani, ma forse bisognerebbe provare a mettersi nei panni di chi ascolterà le nostre parole, per capire non solo ciò che esse sono in grado di dare, ma anche ciò che molto probabilmente porteranno via. Chissà, magari così, prima d’aprir bocca impareremmo tutti a contare. Uno, due, tre… e avanti, fino a… be’, ognuno conti fino a dove vuole, l’importante è iniziare a farlo, ché a pensarci bene, se di orecchie ne abbiam due, mentre la bocca è soltanto una, dico io, non sarà mica un caso.