Passata l’euforia del rientro, questa settimana son tornata alla realtà. E stavolta intendo sul serio, mica per dire. Dopo i racconti spassionati e gli abbracci stretti, infatti, la vita è tornata davvero ad essere quella di sempre, con inseguimenti nei corridoi e raccolta di “Ne parliamo dopo”. Altro che spiagge paradisiache e mare cristallino. Un pacca sulle spalle e via, si riparte.
La pacca, a dire il vero, ho come l’impressione d’averla presa sulle chiappe, ché da queste parti, oh, non si fa altro che correre. Tanto che a tratti mi tornano alla mente gli abitanti dell’Isola di Santiago. Atletici, instancabili e con dei culi ma dei culi, che se ci ripenso, mi dico, vuoi vedere che con tutta ‘sta corsa alla fine vien fuori anche a me un culo così.
Lo ammetto, un po’ lo spero, ché la speranza, si sa, è l’ultima a morire. E così, mentre corro, mi capita anche di sperare. In un culo migliore e in un sacco di altre cose decisamente più edificanti. Come ad esempio che il nostro correre quotidiano prima o poi ci porti da qualche parte. Ché ok il non poter aver tutto sotto controllo, ma ogni tanto, dico io, sarebbe anche il caso di saperlo dove si sta andando. Non fosse altro per il fiato e le gambe, che col passare degli anni, di tutta questa corsa per chissà dove, iniziano un po’ a risentirne.
Di tanto in tanto, allora, me lo chiedo: Si può sapere dov’è che stiamo andando esattamente?
E quando lo faccio, be’, lo faccio ad alta voce, ché la risposta non può mica esser solo la mia.
A quanto pare, però, la mia voce è troppo bassa o forse si muove su frequenze diverse da quelle a cui mi rivolgo. Chi lo sa?
Quel che è certo è che quella domanda cade spesso nel vuoto, in un toc silenzioso che ricorda quello di un cellulare che tocca terra. Che le prime volte ti disperi, ma dopo un po’ che capita, non ci fai più manco caso. Lo raccatti e via, in attesa della prossima inevitabile caduta.
Toc.
Chissà, forse la verità è che in questa vita ognuno corre da solo e un po’ dove gli pare. Anche se ‘sta cosa, a me, non piace mica poi tanto. Be’, per fortuna ci pensano i cenci dell’Anna a tirarmi su. Per Berlingaccio s’è data un gran da fare e figuriamoci se la Mau non ce ne avrebbe portati un po’ anche a noi, ché la parentesi delle arance, mi sa, non ha fatto in tempo ad aprirsi che si è già conclusa. E così, con quel dolce sapore in bocca e la voce di Cesária Évora che mi gira in testa, in questo grigio inizio di marzo io continuo a sperare. Prima o poi quella risposta arriverà; e chissà, magari anche un bel culo capoverdiano.