Le cose belle, si sa, non durano in eterno. Un po’ come le ferie, che le aspetti per giorni, settimane, e poi, quando finalmente arrivano, è un attimo che se ne volan via.
E così, adesso, dei mari del sud non resta che un caldo ricordo che sa di sale, cachupa e gin tonic. D’un tratto, infatti, lunedì mi son ritrovata di nuovo in ufficio. Sbam! Scaraventata in quella che è la vita di sempre, fatta di mal di denti, capsule saltate e preventivi.
Il sole, fuori, ha continuato a splendere come se nulla fosse, solo che io, le ore, ho ripreso a passarle dentro e così, il mio colore sta lentamente tornando ad essere quello di sempre: un bianco che un giorno vira al rosa e quello dopo al grigio, in una scala cromatica che chissà come, a volte riesce addirittura a spingersi fino al verde.
Ma suvvia non ci lamentiamo, ché son tornata da appena una settimana e poi, va detto, il rientro poteva andare decisamente peggio, anche se in questi giorni non mi son fatta certo mancare niente. Ho avuto a che fare col paziente sarcastico, con quello acido e col marpione. C’è poi chi ha smattato dal dolore e chi, invece, mi ha espresso il suo sostegno, ché qui, ha detto, avete un bel da fare, eh.
Già! Ma devo ammettere che per quanto sia stato faticoso, è stato anche bello, dopo tanto, tornare a respirare aria di casa. E poco importa se questa casa odora di studio dentistico. È stato comunque bello, si, ché gli abbracci che mi danno qui, non me li danno mica da tante parti.
Le cose, insomma, son rimaste pressappoco le stesse di prima che partissi. Dico pressappoco perché al mio rientro ho trovato i timbri da tutt’altra parte, qualche forza operativa in più e la Mau con una manciata d’arance al posto delle solite brioches. Ché non posso mica continuare a buttar giù dolci su dolci, ha detto.
E poi, be’, ho trovato un bigliettino, messo vicino al computer a ricordarmi quanto sia importante, in questo marasma, starsi accanto tutti i giorni e riuscire così a farsi un tutt’uno.
“Un amico saggio sa evitarci molte pene”.
Baltasar Gracian