Stanotte son stati gli asini che ragliavano a tenermi sveglia, mentre al mattino, a dar la sveglia a tutti ci hanno pensano i picconi, che qua a Sal Rei, oh, entrano in azione quando è appena l’alba.
Del resto, questa è una città in divenire. Un cantiere aperto messo su in gran parte da stranieri per stranieri. Un vero peccato, no? Ché i luoghi, per restare autentici, dovrebbero rimanere di chi li conosce e non finire in mani altrui, pronte a riempirli di grandi strutture, dove la gente si culla nell’illusione di star vivendo chissà quale esperienza esotica per poi tuffarsi in colazioni continentali.
Son cose tristi, via, quasi quanto l’enorme numero di italiani che si trovano su quest’isola. Li riconosci da lontano, splendidi splendenti, che si salutano, si baciano, par d’esser sui navigli. Uè, figa, non te la fai una puntatina a Boa Vista nel fine. Li senti, poi, che fanno a gara a chi vien qui da più anni. Uno è dal ’98. Ed io penso, dal ’98… ma dove diavolo son finiti quelli che parlano creolo? Ché si stava così bene quando non ci si capiva una mazza.
Be’, per fortuna qualcuno del posto è rimasto anche qua. Basta infatti spostarsi su Avenida dos Pescadores, per ritrovarsi tra piccole barche e grandi ceste di pesce fresco, e in un attimo siam di nuovo altrove, immersi nei colori sgargianti delle piccole case d’intorno.
Al porticciolo ci son bambini che si tuffano in acqua per aiutare i grandi, dediti a tirar su reti, a pulire tonni, cernie. E una volta finito, be’, ecco che arrivano le donne. Carico in testa e via. Chissà dove, con tutto quel ben di dio.
Vederli all’opera, pialletto alla mano intenti a sistemare una barca, o a costruire chissà quale oggetto con il corallo, è affascinante. Non capire niente di quel che si dicono, poi, è una sensazione impagabile, di libertà e gratitudine. Ché finalmente si torna a confonderci con ciò che ci sta intorno.
Per confondersi sul serio, però, non c’è niente di meglio che buttarsi sulla Praia de Estoril, una lunga distesa di sabbia che si tuffa in un mare cristallino. E così, decidiamo di far lo stesso anche noi e di tuffarci, ché chissà quando ci ricapita un mare così.
Il vento soffia ed è davvero un piacere. Il sole, infatti, non ha smesso di splendere un attimo ed io son qui a chiedermi, come farò a non diventare un’aragosta? Ché da queste parti, va via come il pane, ma anche no. Il mio bel casino mi consiglia di fare come con la fiorentina: un po’ di minuti da una parte, un po’ dall’altra e via, pronta. Sarà che stiamo mangiando solo pesce, ma ho come la sensazione che la carne gli stia un po’ mancando, ché stanotte, mi ha detto, si è sognato una bella grigliata di carne. E allora oggi cachupa! Ché a pensarci, ci son tanti modi per confondersi con ciò che ci sta intorno e questo, be’, non mi sembra affatto male.