Alla fine son bastate quattro ore di volo e un bel timbro sul passaporto, a darci il benvenuto in questa manciata di isole che è Capo Verde.
Qua, al mattino, ci sono uomini di tutte le età che corrono e fanno esercizi in spiaggia, mentre noi vaghiamo sbattuti qua e là dal vento in cerca di qualcosa da buttar giù, ché l’attività fisica, si sa, stanca, e poco importa se a farla sono gli altri.
Per trovare qualcosa di aperto, però, tocca spingersi fino a Praia, ché oggi è sabato e qua a Prainha, fatta eccezione per chi corre, si svegliano tutti con calma. Così, abbandoniamo il mare per salire fin sul Platô, dove i colori sono così tanti e così vari che ovunque mi giri, oh, ne scopro di nuovi.
Ci son fragole e banane, che escono da grandi ceste. Banchi di verdura stracolmi al Mercado Municipal, dietro ai quali spuntano donne vestite di mille tinte. Ci son poi ragazzine che sfilano per Avenida 5 de Julho sotto gli sguardi indiscreti dei coetanei, e bambini che ridono e corrono per strada, ché oggi è sabato e a scuola ci si torna lunedì. Evvai!
I tavolini dei caffè sono occupati da gente del posto, signore formose che addentano fette di torta e distinti uomini in camicia che vanno avanti a sorsi di grogue.
Tutti sorridono, parlano, allora noi ce ne stiamo volentieri un po’ zitti, a guardarci intorno, a perderci in quel luminoso carnevale di voci e colori; nella musica che vibra nell’aria, ovunque ci si trovi, e che porta altrove, lontano, che a pensarci bene, oh, poi tanto lontano non è, ché lontano è anche qui, esattamente dove ci troviamo noi adesso.
Allora ispiro forte, ché questo lontano lo voglio tenere tutto per me. E se a una certa nell’aria si fa spazio il profumo di aragosta alla griglia o quello di feijoada de marisco, be’, avanti tutta. E poco importa se la maglietta si macchia d’unto. Alle buone maniere ci penseremo poi, eh.