Ancora quattro giorni e sarà Natale, finalmente.
Non l’attendevo così dai tempi in cui con mio fratello ci svegliavamo all’alba per correre in salotto e vedere cosa ci aveva portato Babbo Natale.
Adesso che sono grande non mi aspetto regali, ma soltanto che i telefoni al poliambulatorio smettano di squillare per un po’ e che il campanello faccia lo stesso.
Sogno una tregua, uno stop.
Ma fino ad allora c’è da darsi un gran da fare. Ci sono i conti da chiudere, le scadenze del fine anno. C’è da correre, insomma, ed io che di tempo per andare in palestra non ne ho, be’, ne approfitto e corro in ufficio, sebbene il più delle volte finisca per farlo sul posto, ché la superficie a Risana è quella che è.
Anche correre sul posto però è una gran fatica. Saltare da una cosa all’altra, il più delle volte da una persona all’altra.
Ieri ho saltato così tanto che a sera facevo fatica a reggermi in piedi. Così, quando la mia collega mi ha detto Mi chiedo cosa ci fai qui, in questo caos, tu che dovresti scrivere, trovare la tua dimensione…, ho temuto davvero di far cencio e cadere per terra. SBAM!
Invece sono rimasta in piedi, col desiderio di tornare d’un botto a quando avevo vent’anni. Non per far scelte diverse o rivedere i miei piani, sia chiaro, ma per sentirmi come quando il sabato sera, con gli amici, partivamo in banda per andare alla Flog. La musica rock nelle orecchie, un Negroni in mano e la mente sgombra delle sovrastrutture in cui mi sarei imbattuta negli anni a venire.
Chi se lo poteva immaginare, allora, che un giorno mi sarei ritrovata a dover spiegare a qualcuno il perché del mio semplice lavoro di segretaria?
Son cose che a pensarci, oh, mi si annebbia il cervello.
Tre, due, uno: buio.
Pensare che al buio, questa settimana, ci sono rimasta davvero.
È stato un attimo e i fari della mia auto sono morti, andati. Senza avvisare, ovviamente, ché se una cosa deve accadere, si sa, accade all’improvviso e sempre a ridosso delle feste.
Be’, per fortuna c’ha pensato Elio, che poi sarebbe mio babbo. Io non so come faccia, ma quando gli chiedo una cosa, oh, un attimo dopo l’ha già fatta. E infatti si è presentato in studio con le chiavi della mia auto in mano e un sorriso stampato in viso. Fatto, ha detto, e se n’è andato.
A lui non ho mai dovuto spiegare perché, invece di ambire a chissà che posizione, son qui a fare la segretaria. Magari avrebbe preferito diventassi medico o avvocato, ma conoscendolo sono certa che sia contento anche così, con una figlia segretaria di giorno e scribacchina di notte. L’importante è essere svegli, ecco cosa direbbe.
Se amo ciò che faccio lo devo anche a lui, instancabile lavoratore. Quindi lo ringrazio, per l’esempio e per aver alleggerito con due lampadine nuove la mia settimana.
A pensarci bene, ad alleggerirla sono stati in diversi. Allora sarà che a Natale siamo tutti più buoni, o che a forza di buttar giù cioccolati, lo zucchero m’ha dato alla testa, ma li voglio ringraziare tutti. A partire da Diano per l’olio nuovo. Grazie, si. A lui e anche a Giovanni e Gloria, per il caffè di metà mattina; alla Mau per gli sforzi condivisi e a Teresa, che finalmente ha imparato ad alzare la voce. Daje!
Grazie ad Antonietta, per avermi parlato del suo pizzicore al cuore nell’attesa che arrivi il primo nipotino, e a Piero, che ha chiamato stamani solo per fare gli auguri. A Vanna, Marcello e agli altri, per tutti i dolciumi… seguiranno chili in più e carie, ma chissene!
Un grazie lo devo anche alle mie amiche, che nonostante la mia stanchezza hanno comunque provato a portarmi fuori infra settimana; e a mio fratello, per aver condiviso con me il suo 30 all’esame di storia. Concludo con un grazie speciale, che non potrebbe non andare a Francesco e al suo <Ceniamo insieme stasera?>
Potrei ambire a qualcosa di meglio, certo, ma tutto sommato, anche così, la vita non è affatto male.
E ora, be’, non mi resta che augurarvi buon Natale!