1 luglio 2018
C’è sempre una prima volta. E se c’è una prima volta, ce anche un’ultima.
Oggi, per me, sarà un giorno pieno di ultime volte. Già, perché per l’ultima volta mi sveglierò in questo letto e farò la corsa per aggiudicarmi il bagno. Per l’ultima volta, eh, che da domani smetto di correre, per lo meno al mattino per fare pipì.
Correre correrò comunque; qua corrono tutti, vorrò mica restare indietro?Corre anche il tempo, che se ci penso, mica ci credo che son già passati quattro anni da quando sono arrivata in questa casa.
Ora che son qui a buttar giù le ultime briciole, mi chiedo se siano pochi o tanti, quattro anni.
Ripenso alla me di allora, quella di quattro anni fa, che una mattina d’estate entrava in questa stanza per la prima volta e non aveva alcun dubbio: era la sua. Ora che la guardo per l’ultima volta, mi fa strano che tra qualche ora non sarà più mia, ma di un’altra. Ma in fondo non è più la stessa stanza di allora, come del resto non sono la stessa io.
In effetti di cose in questi anni ne son successe parecchie. Questa stanza non le ha certo viste tutte, ma abbastanza, e se solo potesse parlare… beh, mi rincuora che se ne stia zitta, che tenga per sé i pianti, le risate, le andate e i ritorni. Resteranno per noi, nostri e basta.
Se mi guardo indietro vedo me che scarto e tinteggio di bianco le pareti insieme a Elio. Vedo i primi passi titubanti, i ‘Posso?’ dell’inizio che son svaniti col tempo, via via che questa si faceva casa. Vedo le cene condivise, le pizze da asporto, serate di trash televisivo e bottiglie di vino. Vedo i silenzi, compresi e rispettati. Vedo uno sciacquone anarchico e dei piccioni invadenti. Vedo me, vescica piena e spazzolino alla mano: mi lavo i denti in terrazza, ché il bagno è occupato. Vedo una sbronza cosmica, le amiche di sempre che mi riportano fin quassù, al quinto piano, e mi mettono a letto vestita, mentre rido, blatero e non vedo un cazzo. Vedo il Lungarno, verde e assolato compagno di camminate mattutine, musica nelle orecchie e via. E poi vedo che è notte, la abatjour è accesa ed io sono al computer che scrivo; in questi anni ho scritto un po’ a tutti, anche a un tostapane.
Oh! Sarò anche miope, ma oggi vedo davvero un sacco di cose. Vedo anche quello che in questa città avrei voluto fare e che probabilmente non farò mai. O forse si?
Vedo la stanza di Ale, accanto c’è quella di Ste e di fianco alla mia, quella di Marti. Le vedo per l’ultima volta e penso che questi anni non sarebbero stati affatto gli stessi senza di loro. Una strampalata famiglia allargata, quella di Casa Gianardelli, fatta di esistenze accozzate a caso. Ben quattro anni insieme e mai come adesso sono certa che essersi trovati è stata davvero una gran botta di culo.
È stato bello esserci, anche se sempre con lo zaino in spalla pronta a svanire chissà dove. C’è poco da fare, son fatta così, occhi che un attimo ridono e quello dopo son gonfi di lacrime, proprio come adesso. Beh, per fortuna è estate e ho gli occhiali da sole a portata di mano.
Il tempo sta per scadere. Mi chiedo come sarà la vita quando sarò là fuori, ché le chiavi stavolta le lascio sul tavolo, ma mica per sbaglio. Le lascio lì assieme a un sacco di cose belle: ricordi, sensazioni, sogni realizzati. Alcuni sogni in questi anni sono anche svaniti, certo, ma altri li ho riacciuffati, tenuti ben stretti tra le dita, e adesso, beh, mi appresto a viverli.
Allora ragazzi io vado, eh!
Le chiavi sono sul tavolo, fiondo fuori e avanti il prossimo.